’A CASA GIÀRNA

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Michele Costanzo

Foglio 91 | ed. maggio 2021 | p. 86
COD: ISBN: 9788894995985 Categoria:
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Descrizione

La vicenda gialla narrata in questo libro si compone di vari personaggi tra cui il principale è il capitano dei Carabinieri Ignazio Contavalle che è comandato a dirigere la Stazione Mannino di Collerupo (Siracusa), un paese di poco meno di 15.000 abitanti.
Il giorno in cui entra in servizio accade un fatto insolito per il tranquillo paese, due picciotti su una moto tentano di uccidere il geometra Gilberto Colarizzi mentre sta tornando a casa con la sua Honda Civic Tipe R. Il giovane però riesce a salvarsi poiché, avendo immaginato l’eventualità di poter subire un’aggressione, portava con sé una pistola nascosta nel retro della cintura dei pantaloni.
Contavalle sospetta che l’attentato abbia qualcosa a che fare con il programma, del boss locale Salvatore Boraluce, di costruirsi una casa (denominata dai paesani Casa gialla) in una zona, di particolare pregio archeologico-naturalistico, destinata a diventare un parco. Il lotto per costruire questa Casa gialla – in siciliano Casa giàrna – Boraluce l’ha ottenuto attraverso la falsificazione di una carta catastale compiuta da Colarizzi. Poiché il geometra non vuole più essere coinvolto in tale affare, la risposta immediata di don Salvatore è l’invio dei due killer. L’inchiesta di Contavalle inizia con l’individuazione dell’identità dei due killer e la ricerca del mandante che nel frattempo viene, anche lui, ucciso complicando enormemente l’indagine del capitano, il cui metodo è basato sull’attenzione ai dettagli e sarà proprio un particolare – ritenuto dall’assassino marginale – a fargli chiudere il caso.

Michele Costanzo, nato ad Ancona nel 1939, vive e lavora a Roma. Laureato in architettura presso la Facoltà di Architettura Sapienza di Roma, ha insegnato, come professore di Progettazione architettonica presso la Facoltà di Architettura Sapienza di Roma, la Facoltà di Architettura di Siracusa e la Facoltà di Ingegneria di Catania. Ha collaborato con numerose riviste di architettura nazionali e internazionali. E’ redattore della rivista «Rassegna di Architettura e Urbanistica». Tra le pubblicazioni a carattere saggistico: MVRDV. Opere e progetti 1991-2006, Skira, Milano 2006; Museo fuori dal museo. Nuovi luoghi e nuovi spazi per l’arte contemporanea, FrancoAngeli, Milano 2007; Leonardo Ricci e l’idea di spazio comunitario, Quodlibet, Macerata 2010; Philip Johnson e il museo d’arte americano, Postmedia Books, Milano 2015; Conversazioni con Magnus Østergaard. Architettura danese contemporanea, ListLab, Trento 2017;Viaggio nell’architettura italiana del 3° millennio, Efesto, Roma 2019.
Tra i romanzi: La palazzina in via di Villa Sciarra, Postmedia Books, Milano 2016; Fine settimana, Efesto, Roma 2017.

Quella mattina il capitano Ignazio Contavalle si era alzato prima del solito perché doveva prendere la corriera per Collerupo. Non avendo avuto la forza di accendere l’abat jour si era fatto bastare qualche debole raggio di sole proveniente dagli interstizi delle persiane e, pur procedendo a tentoni nel ridotto spazio della stanza del Bed and Breakfast Parini, era riuscito a trovare la porta del bagno senza commetter danni.
La fatica che faceva a muoversi era la conseguenza di una difficile notte, durante la quale aveva dormito poco e male perché era stato tormentato da una ridda di pensieri che, come nell’antico ballo, avevano preso a girare in tondo nella sua testa fin da quando aveva posato, sul roseo quadrato di marmo del comodino, un libro di Gianrico Carofiglio che ancora non aveva finito di leggere e aveva spento la lampada.
Il tema centrale della sua inquietudine – le cui immagini ossessionanti prodotte nella sua mente gli avevano precluso durante la notte la possibilità di dormire – era il suo trasferimento dalla stazione dei carabinieri di Trevi, in Umbria, a quella di Collerupo, un ricco comune agricolo nella Sicilia sud-orientale.
La sua ansia dipendeva dalla scarsa conoscenza che aveva del Sud-Italia e della sua gente, in particolare della Sicilia e dei siciliani.
«La Sicilia è un paese in cui non si può andare impreparati», gli aveva detto al telefono suo padre, stimatissimo professore del Liceo classico Parini di Parma, quando aveva saputo del suo trasferimento a Collerupo.
Allora Ignazio, particolarmente sensibile agli intendimenti delle frasi paterne, sempre declamate con il giusto tono di voce – che a lui sembravano pura saggezza appena sgorgata dalla fessura di una roccia – si era messo a consultare disordinatamente libri, riviste e a dare un’occhiata anche a Internet più per acquetare l’ansia che per acquisire concreti elementi di conoscenza. Poi in maniera repentina, com’era nella sua natura riflessiva che però non rinunciava a dare spazio alle decisioni improvvise, si era rivolto alle considerazioni che Leonardo Sciascia aveva sviluppato sul termine sicilitudine che, secondo lo scrittore, era il tratto caratteristico dei suoi conterranei. Si trattava di un termine non semplice da definire per le diverse possibilità d’interpretazione che offriva. Infatti, poteva passare dalla categoria metafisica, alla condizione esistenziale o allo status antropologico. Certo è che, qualunque fosse stato il significato scelto per specificare quella parola, essa non poteva che rappresentare una sorta di gabbia, volta a chiudere o meglio a separare i suoi conterranei, seppure in senso ideale, da quelli del resto dello Stivale. Sciascia, però, non sentiva di poter accettare questa forma di disgiunzione. Piuttosto si proponeva di impiegare il termine sicilitudine come un dispositivo per indicare, nel bene e nel male, il tratto distintivo dei siciliani fino a estenderlo però come metafora di una condizione esistenziale di tipo universale.
Dietro quell’espressione Sciacia vedeva affacciarsi anche il sentimento dell’insicurezza che è l’elemento primario della storia siciliana. Essa condiziona «[…] il comportamento, il modo di essere, la visione della vita – paura, apprensione, diffidenza, chiuse passioni, incapacità di stabilire rapporti al di fuori degli affetti, violenza, pessimismo, fatalismo -, della collettività e dei singoli». La complessa visione della società siciliana da parte del Maestro di Racalmuto invece di aiutarlo a comprendere e ad avvicinarsi al modo di sentire e di ragionare di quell’umanità isolana del tutto speciale, lo aveva fatto sentire ancora più lontano, estraneo, diverso e, principalmente, soggetto all’errore.