Check sound Dai demo tape ai social, cronache dall’underground e riflessioni a cavallo di due ere

Check sound Dai demo tape ai social, cronache dall’underground e riflessioni a cavallo di due ere

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Daniele Galassi

Lettere 339 | p.218 | giugno 2020
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Descrizione

Vent’anni nel mondo della musica underground raccontati da uno di quelli che ci hanno sbattuto le corna. Una lunga e tribolata cavalcata sbobinata con ironia irriverente che diventa il pretesto per parlare di CD che si smaterializzano in Mp3, fanzine che diventano portali web, scambi di lettere vergate a mano rimpiazzati da interazioni social. Il tormentato microcosmo di una delle tante band desiderose di uscire dall’anonimato è il punto di partenza per un’incursione a briglia sciolta tra aneddoti tragicomici, personaggi felliniani e riflessioni – talvolta impietose – su come la rivoluzione digitale abbia sconquassato l’industria discografica, sedotto e messo in crisi musicisti, alterato meccanismi, aggiornato annosi interrogativi.
Cosa ci ha consegnato questo ventennio di internet a banda sempre più larga? Chi ne ha tratto maggiori vantaggi e come? Che valore diamo oggi alla musica? Come siamo arrivati a un mondo dove si ottiene più attenzione con la foto di un tagliere di affettati che con musica inedita? Ma soprattutto: non era meglio correre dietro a una palla come fanno tutti?

Daniele Galassi
Nato ad Ancona nella seconda metà dei gloriosi seventies, a ridosso della maggiore età decide di abbandonare i più salutari campi da basket per darsi alla musica. Chitarrista negli Infernal Poetry e nei Dark Lunacy, si logora per vent’anni dietro a case discografiche, studi di registrazione e tour, sorbettandosi tutto quello che il circuito underground ha da offrire ai suoi martiri: schiaffi a mano aperta, disfatte epocali e qualche riconoscimento quasi sempre simbolico.
Irrimediabilmente corrotto dal vizio del viaggio, intasa il suo travel blog Stray Ermes di racconti, itinerari e guide. Ha pubblicato il noir Dream on/Dream off per Prospettiva e la dissertazione satirica indipendente 10 ragioni per iniziare a suonare e 1000 per smettere.
danielegalassi.it

Prefazione

Una prefazione. Già. Proprio una prefazione. Attento, Marco, perché una prefazione non è una recensione. Leggi recensioni su riviste e siti specializzati in musica rock e metal da ormai circa trent’anni, scrivi recensioni negli stessi ambiti da quasi diciassette anni; ma di prefazioni… be’, ne hai lette sicuramente, ma in quanto a scrittura siamo a zero al cubo. Da dove si parte, dunque? O meglio, da dove si può/potrebbe partire? Forse da quella metà dicembre 2004, quando, pur avendo già sentito parlare in giro benissimo degli Infernal Poetry, entrai per la prima volta in risonanza con la band di Ancona ricevendo dal mio caporedattore il promo – sì, ancora bello fisico, con i testi, l’artwork vero e la possibilità, anzi il dovere, di conservarlo, perché la casa discografica lo poteva richiedere indietro – di “Beholding The Unpure”, il secondo full della loro carriera. Che botta, ragazzi, e che mina di disco! Quel disegno di copertina, poi, colpiva subito per la stranezza e l’estraneità agli stilemi delle cover metal dell’epoca. E colpirebbe ancora oggi, pensate un po’.
Allora diciamo che fu non dico amore a prima vista, ma di certo una bella sbandatona per un lavoro che per la scena italiana era un pregio assoluto.
Ed ecco che un bel pomeriggio di dicembre di quindici anni dopo, lo stesso Daniele-degli-Infernal-Poetry mi chiede così, d’embleè, di scrivergli una prefazione per il suo nuovo libro. La cosa mi stimola, in quanto del tutto inaspettata. Perché con Daniele, in fin dei conti, non c’è mai stato un rapporto che si potesse definire di amicizia: ci sono conoscenze comuni tra gli addetti ai lavori e ormai vecchi scambi di email con i quali ci accordavamo su tempistiche per interviste, track-by-track o altre cosette che sono il pane quotidiano di chi si è dato all’hobby maledetto del giornalismo musicale. E poi, certamente ma indirettamente, ci accomunano pezzi di storie, brandelli di vissuti, aneddoti assurdi, personaggi noti, meno noti, casi clinici e tutto quel circo danzante ben noto a chi si è barcamenato per vent’anni nell’underground italiano a vario titolo.
Quindi, Daniele-degli-Infernal-Poetry ha scritto un nuovo libro. Un libro che per molti aspetti rispecchia le dissonanze, le schizzate e folli derive, le esagerazioni stilistiche e concettuali che la sua band amava far diluviare sui fan durante i brucianti anni della propria esistenza. Non si sta fermi un attimo, perciò. Si passa con dinamica nonchalance da aneddoti esilaranti che Paolo Villaggio starebbe bello fermo e serafico nella tomba, senza minimamente scomporsi e abbozzando un compiaciuto sorriso postmortem, a realistiche e amarissime analisi che abbracciano gran parte del sistema musica, fino a giungere a riflessioni che molti di noi – musicisti, giornalisti o semplici appassionati – avranno avuto modo di abbozzare chissà quante volte.
Ecco che però vado lentamente sciamando nella deriva da recensore, quando qui mi si chiedeva invece una solida e accattivante faccia da prefattore – colui che si prodiga in prefazioni, suppongo. E allora scriverò, in modo molto crudo e bislaccamente pubblicitario, che questo libro lo si divora, lo si beve in un paio di giorni, come una specie di shottino che va giù nel gargarozzo che è un piacere; ma state attenti, che il rigurgito di vomito è sempre in zona esofago, non appena il cardias accenna ad aprirsi quando non dovrebbe. Perché “Check Sound” a tratti fa male, malissimo, mette di fronte a una realtà cruda, tragi-comica e talvolta impietosa che torna su a mo’ di succo gastrico cogliendoti di sorpresa, magari proprio mentre stavi sganasciandoti dalle risate.
“Check Sound” ci presenta uno spaccato. Uno spaccato di vita in un contesto di nicchia, che diventa il pretesto per allargare lo sguardo oltre l’underground e raccontare di un mondo ben più vasto. Ed ecco come, a partire da esperienze personali spesso rocambolesche, si arriva a capire interazioni e meccanismi che riguardano tutti noi e che ci parlano, con un po’ di nostalgia ma senza troppi rimpianti o livori, del modo odierno di vivere la musica, ormai completamente mutato. Sì, ma in meglio o in peggio?

Marco Gallarati
15/01/2020