HANNO AMMAZZATO GRAMSCI, GRAMSCI È VIVO. Le categorie del pensiero gramsciano
14,00 €
Giovanni Zanelli
Costellazione Orione 113 | p. 102| ed.febbraio 2017
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Descrizione
Descrizione
“…quand’anche fossimo barbari in un mondo barbaro, Gramsci sarebbe vivo. La sua testimonianza, la sua vita e la sua morte, il suo pensiero e le sue parole resterebbero comunque come uno stimolo ad assumersi le proprie responsabilità di uomini, a creare condizioni soggettive di riscatto anche quando le condizioni oggettive siano ostili, ad essere partigiani. E tutto ciò può servire come un monito e una speranza anche per un barbaro.”
In copertina illustrazione di Lorenzo Negri
Autori
Giovanni Zanelli (Savona, 1974) insegna storia e filosofia al Liceo “Arturo Issel” di Finale Ligure.
Prima pagina
Introduzione
Con il crescere dell’interesse mondiale per il pensiero di Gramsci, si è riproposto in diverse occasioni un tema centrale per la comprensione della sua vita e del suo pensiero: la morte e il significato politico di testimonianza ad essa connesso. La questione che si dibatte, per quanto articolata e colma di sfumature, può essere ricondotta a un sostanziale bipolarismo: Gramsci è stato un normale prigioniero politico durante la dittatura fascista e venne trattato con un certo riguardo riuscendo a concludere la sua vita da uomo libero e per colpa della malattia oppure Gramsci è stato un martire del libero pensiero che decise scientemente di opporsi al totalitarismo fascista nonostante le sue condizioni fisiche assolutamente compromesse e per questo fu torturato costantemente nelle carceri di Mussolini sino a morire nel letto della clinica in cui attendeva
la notizia della libertà riguadagnata e che gli giunse solo poche ore prima della morte?
Non è solo una questione per gli storici o per i biografi di Gramsci, ma per chiunque intenda affrontare l’immenso lascito filosofico che ha fatto dei Quaderni una delle opere più importanti del Novecento. Non si può ignorare, infatti, che il carattere di zibaldone dell’opera gramsciana, le sue imprecisioni, il suo tornare su temi già trattati come per la messa in opera di una pratica laboratoriale mai conclusa, il procedere che talvolta si fa addirittura aforismatico siano conseguenze della condizione di carcerato del loro autore. Non si può ignorare neppure che il giornalista Gramsci, il segretario Gramsci decise di conferire alla sua visione del mondo una consistenza teorica perché costretto a ripensare la sua sconfitta dopo il Processone. Infine non si può ignorare che proprio questa prospettiva di sconfitta spinse Gramsci a rivedere il senso del suo marxismo e della sua adesione al leninismo per rivendicare i principi dell’umanismo marxista. Questi fattori caratterizzano irreversibilmente la sua evoluzione intellettuale e conferiscono al suo pensiero quella portata di carattere universale che altrimenti, forse, non avrebbe avuto.
Bisogna allora dirimere la questione e prendere una posizione perché ciò determina la prospettiva, diremmo, ermeneutica con cui si guarda al pensiero di Gramsci. Il titolo di questa nostra opera contiene già l’annuncio della posizione da noi assunta. Si tratta ora di argomentarla.
Hanno ammazzato Gramsci…
Ogni volta che si affronta la questione della morte di Gramsci torna inesorabile un sospetto che suggerisce una qualche responsabilità del Partito e di Togliatti. Questo sospetto, per quanto legittimo, ha spesso la funzione di distogliere l’attenzione dalle colpe del fascismo e di isolare la vicenda umana di Gramsci dal drammatico contesto storico in cui si colloca. A nostro avviso non ha senso parlare della morte di Gramsci senza tenere presente con la massima attenzione le vicende internazionali e il clima politico degli anni in cui si consumarono l’arresto, la prigionia e la fine del prigioniero.
Dopo gli attentati Zaniboni e Zamboni, il Fascismo iniziò la sistematica persecuzione degli avversari politici anche attraverso alcune mostruosità giuridiche come la retroattività delle leggi introdotte a tale scopo o come la violazione dell’immunità di cui godevano i deputati dichiarati decaduti, come Gramsci. La repressione del dissenso è uno degli elementi attraverso cui si realizza il controllo totalitario dell’opinione pubblica e rappresenta l’aspetto violento della propaganda. Nell’Italia fascista ciò volle dire la fine della libertà statutarie e l’annientamento degli oppositori del regime, a partire proprio da quelli comunisti. Tra l’8 e il 9 novembre 1926 si attuò un vero e proprio colpo di stato fascista, per quanto troppo spesso la memoria edulcorata abbia rimosso i termini esatti della questione.