La Decima M.A.S. in Friuli. Il processo a Remigio Rebez (e-book)
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Flavio Rovere
Saggistica | ed. 2020 | p. 235 | formato e-book
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Descrizione
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L’armistizio, l’occupazione, la lotta fratricida, la tortura, la libertà. A oltre 65 anni dalla conclusione del secondo conflitto mondiale, le vicende del sergente triestino della Decima M.A.S. Remigio Rebez ripercorrono una delle pagine più sofferte della storia italiana, mettendo in luce ancora una volta le atrocità commesse dalle autorità dell’allora RSI ai danni dei cosiddetti “banditi” partigiani e dell’intera popolazione civile durante l’occupazione nazista delle province orientali. La violenza, le torture, gli insulti, le percosse, le esecuzioni sono riportate a galla con dovizia di particolari dalle vittime della famosa “banda Ruggiero”, la squadraccia della Milizia Difesa Territoriale che terrorizzò l’intera “bassa friulana” nel biennio 1944-’45, in cui il marò degli N.P. fu uno dei più zelanti poliziotti grazie ai suoi metodi brutali ed al grilletto facile che da sempre ne caratterizzarono l’operato. Colto dall’armistizio mentre si trovava a Roma con i compagni della Decima, Rebez riparò nella sua terra natale, Muggia, arruolandosi in seguito nel riorganizzato battaglione dei Nuotatori Paracadutisti. Giunto a Palmanova, il sergente triestino rimase vittima di un attentato partigiano e da lì iniziò la sua fine opera di caccia all’avversario politico, mettendo in campo ogni mezzo a sua disposizione per distruggere la Resistenza grazie all’aiuto dei camerati tedeschi. Una storia come tante nell’Italia martoriata dalla guerra per una nazione che, a distanza di 65 anni dalla conclusione del conflitto, fatica ancora a fare con obiettività i conti con il proprio passato.
Autori
Prima pagina
Flavio Rovere si è laureato in Storia Contemporanea presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Udine, interessandosi al difficile periodo passato dalle popolazioni della bassa pianura friulana durante l’occupazione nazista delle province orientali, attraverso l’esame dei numerosi documenti presenti all’interno dell’Archivio di Stato di Udine, presso la sede A.N.P.I. ed all’interno dell’Istituto friulano per la Storia del Movimento di Liberazione presenti nel capoluogo provinciale. Attualmente lavora in provincia di Udine.
Il “confine orientale” e la storia dei “ragazzi di Salò” sono stati al centro del dibattito politico e storico del nostro paese negli ultimi decenni; le foibe, il “vento del nord” e la vendetta partigiana che colpì molti sconosciuti fascisti o pseudo fascisti alla fine del conflitto sono stati il fulcro, legittimamente, di un’interessante riflessione che ha dissipato numerosi dubbi e lacune sedimentatesi nel tempo. Solo da pochi anni, ad esempio, la storiografia ha iniziato ad occuparsi “scientificamente” ed organicamente dei reparti della Repubblica Sociale che hanno partecipato alla guerra civile. La storia è, come qualsiasi fenomeno umano, mutevole e per questo suscettibile di revisione e cambiamento, a patto che essa non venga stravolta nelle sue linee generali.
Nel nordest, principale area protagonista delle vicende narrate in questo libro, così come accade indubbiamente in molte aree del nostro paese, resistono ancora delle ferite difficilmente rimarginabili, figlie di una stagione bellica che ha segnato notevolmente le coscienze e gli spiriti di chi l’ha vissuta, nonché dei figli dei reduci o delle vittime.
Chiunque si soffermasse nella lettura di un quotidiano locale avrebbe la possibilità di ripercorrere, attraverso le lettere pubblicate in diverse circostanze, un po’ di storia del luogo incentrata principalmente su due nomi: Decima M.A.S. e Porzûs. Conosciuti o meno, questi due termini sono legati indissolubilmente a Junio Valerio Borghese, famoso comandante della Decima, e all’”Osoppo”, le famose brigate partigiane cattolico-azioniste friulane di cui fecero parte i martiri di Porzûs. Decima M.A.S. e Porzûs, una formazione militare ed un luogo che in seguito fecero la storia segreta della Prima Repubblica nata dalle ceneri della guerra.
La RSI è stata la culla del doppio stato che ne scaturì e numerosi sono i contributi di rispettabili studiosi italiani e stranieri che ne hanno indagato i famosi 600 giorni di vita: da Collotti a Ganapini, passando per Lepre, Deakin, Klinkhammer, Bertoldi, Bocca, fino agli annali della Fondazione Micheletti di Brescia in cui molti documenti rievocano quel buio periodo di guerra e di occupazione. Innumerevoli sono, inoltre, gli studi ed i documenti raccolti dai due enti regionali del Friuli Venezia Giulia preposti alla memoria storica della Resistenza, l’Istituto Regionale per la storia del Movimento di Liberazione di Trieste ed il suo omologo Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione di Udine associato all’A.N.P.I. cittadino, sulla questione del confine orientale durante la seconda guerra mondiale e dei suoi principali protagonisti.
La tesi da cui prende spunto questo libro, discussa presso la facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Udine con i professori Paolo Ferrari ed Umberto Sereni, narra le vicende di uno dei personaggi principali della lotta alla Resistenza messa in atto dai nazifascisti in Friuli sul finire del 1944: il sergente della Decima M.A.S. Remigio Rebez. Il paracadutista triestino fu lasciato dal suo reparto nella bassa friulana e venne assoldato da una compagnia della Milizia Difesa Territoriale posta sotto il comando della polizia nazista, adibita al mantenimento dell’ordine pubblico ed alla polizia militare nella zona di Palmanova, famosa città fortificata di origine veneziana situata al centro della pianura friulana.
Le circostanze ripercorse utilizzano come principali fonti documentali gli incartamenti custoditi presso l’Archivio di Stato di Udine, relativi al processo avvenuto nel dopoguerra contro i soldati della compagnia, e le numerose testimonianze della memorialistica resistenziale custodita presso l’Istituto friulano per la storia del Movimento di Liberazione. Il quadro generale dipinto dalle fonti esaminate descrive una situazione drammatica.
La dominazione nazista sulle province del nordest fu pesante: il reclutamento della forza lavoro nelle opere di fortificazione e di costruzione, le retate poliziesche contro partigiani ed ebrei, i campi di internamento per “slavi” a Gonars e a Visco ereditati dal governo fascista e funzionali fino al settembre 1943, la Risiera di San Sabba ed il suo forno crematorio, l’afflusso di brigate serbe, croate, slovene, bosniache, russe, centroasiatiche, spagnole richiamate sul territorio dai gerarchi tedeschi, l’arrendevolezza dei comandi militari della RSI, l’asservimento di numerosi italiani prostrati al servizio volontario o obbligatorio alla causa nazista fecero del Friuli e della Venezia Giulia una specie di piccola terra di sperimentazione diretta della futura dominazione nazista in Occidente.
I tedeschi si ritrovarono schiacciati da est dopo la disfatta di Stalingrado nel ’42 – ’43 e da sud in seguito all’invasione del “ventre molle” italiano nel luglio ’43. Una lenta ma inesorabile risalita alleata li costrinse a resistere nel Nord Italia, ricostituendovi un governo collaborazionista neofascista che permettesse l’opera di sfruttamento sistematico messa in atto nei successivi due anni sul territorio settentrionale della penisola. Il Nordest cadde sotto la dominazione diretta dei gerarchi nazisti, che lo sottrassero all’amministrazione repubblicana facendone, di fatto, la via diretta per la strategica ritirata verso la Germania. Lo sbarco in Normandia e quello in Provenza del giugno – agosto ’44, nonostante avessero dato il via ad una forte emorragia di truppe alleate dal fronte secondario italiano, stritolarono il Reich in una morsa ancor più dirompente costringendo i tedeschi ad una serrata battaglia che scongiurasse l’invasione del suolo patrio.
In questa situazione il confine orientale italiano divenne strategico in quanto punto di congiunzione fra Balcani, Italia ed il loro confine meridionale: il passo del Brennero e i valichi di Tarvisio, con le loro ferrovie, divennero arterie principali del possibile reflusso verso le terre tedesche, al fine di provare l’ultima resistenza possibile. Ed è proprio in questa piccola fetta di terra, minacciata di sbarco alleato secondo le intenzioni di Churchill, che le vie di comunicazione quali strade e ferrovie, le infrastrutture quali telefoni, elettricità, porti, depositi di carburante, piste di aviazione divennero di vitale importanza per la prosecuzione del conflitto. Tutto doveva servire per la grande causa millenaria del Terzo Reich, ed il Friuli divenne il retro del fronte di battaglia dove la pullulante resistenza delle brigate partigiane doveva essere soffocata in ogni modo e a qualunque costo. Oltre alla Wehrmacht, alle SS e alla loro opera di polizia, le forze fasciste sorte con la RSI furono utilizzate principalmente per fare il cosiddetto lavoro sporco: lo spionaggio e la cattura, nonché l’esecuzione dei ribelli.